Spadolini: nutrimento morale e intellettuale Il Pri: "Partito senza chiusure settarie e senza residui teologici" Pescara, 16 marzo 2012: è stata dedicata una via al leader repubblicano Giovanni Spadolini. Pubblichiamo l’orazione del segretario nazionale del Pri Francesco Nucara letta durante la cerimonia. di Francesco Nucara Oggi è una giornata luminosa, non solo per i repubblicani che Spadolini ha guidato con saggezza in un difficile momento della storia della Repubblica, ma per tutti coloro che vivono la politica con l’impegno di svolgere l’alta missione a cui sono chiamati nell’interesse dell’intera collettività. Il mio ringraziamento va alla Giunta comunale di Pescara, in particolare al Sindaco Avv. Luigi Albore Mascia, per la sensibilità politica dimostrata nell’intitolare una via a Giovanni Spadolini, avvertendo l’esigenza di scolpire nella toponomastica della città quel richiamo morale di cui Spadolini era esempio e di cui oggi sentiamo la mancanza. Il ringraziamento mio e di tutto il Partito Repubblicano va, inoltre, al nostro Segretario Regionale, Nicola Di Federico, per l’impegno profuso alla realizzazione di questo importante avvenimento. L’alto senso di responsabilità di Giovanni Spadolini, nutrimento morale e intellettuale, ha rappresentato sempre il filo conduttore della sua esistenza sin dai tempi in cui, giovane direttore, letteralmente ‘occupò’ la redazione del Resto del Carlino di Bologna. I suoi scritti non hanno mai partecipato con dubbie informazioni o, peggio, illazioni, ai dibattiti politici di quegli anni. Spadolini sentiva la necessità, quale dovere per un giornalista, di offrire analisi equilibrate e suggerimenti per la soluzione dei difficili problemi sociali, economici e politici, avvertendo che, senza l’impegno di tutte le forze politiche, si sarebbe corso il pericolo di indebolire ulteriormente la già fragile democrazia italiana. Era, fondamentalmente, un moderato, forse il più grande interprete del moderatismo italiano, ma di quel moderatismo carico di virtù che ritroviamo negli uomini che resero possibile l’unificazione dell’Italia. Veniva da una famiglia colta e agiata, educato ad un umanesimo civile che rappresenterà, in ogni momento della sua vita di giornalista, di scrittore e di politico, la grande ispirazione. L’universo di idee e sentimenti che egli rappresentava e sapeva far rivivere sulla scena politica e civile, con la sua straordinaria vitalità e versatilità, pur profondo conoscitore degli ambienti che frequentava, gli ha consentito di mantenere quella aristocratica distanza dalle cose affermando una personalità duttile ma ferma nei principi e nei valori in cui credeva. Per queste sue qualità verrà chiamato dalla famiglia Crespi ad assumere l’incarico di direttore del Corriere della Sera, al posto di Alfio Russo che successe a Mario Missiroli, alla guida del quale si impose per la brillantezza e la saggezza nella conduzione. La rottura con i Crespi, dopo cinque anni di direzione al Corriere, e l’incontro con Ugo La Malfa, segneranno il resto della sua vita. Invitato a candidarsi come indipendente nelle liste del Partito repubblicano, verrà eletto nel 1972 al Senato della Repubblica, nel collegio di Milano. Collegio che mai abbandonerà sino alla nomina di Senatore a vita il 1° maggio del 1991. Il Presidente Cossiga firmò il decreto di nomina che riportava la seguente motivazione: "Per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico, letterario e sociale". Giovanni Spadolini amava definirsi "un giornalista prestato alla politica" e mai definizione migliore avrebbe potuto essere coniata se non dallo stesso Spadolini, intesa come concezione di giornalismo fondato sulla cultura, sulla conoscenza delle realtà affrontate, sulla coerenza, sulla continua ricerca della corretta interpretazione di uno scenario, come quello italiano, arduo da comprendere. L’invito di Ugo La Malfa non fu l’unico: anche i liberali, i socialdemocratici e i democristiani offrirono un seggio sicuro a Spadolini, ma questi preferì candidarsi con i repubblicani in un collegio in cui mai era stato eletto un rappresentante dell’Edera. La scelta fu naturale per Spadolini, profondo conoscitore della storia italiana: accettò l’invito di La Malfa, che egli considerava l’interprete per eccellenza del partito della democrazia laica. Il Partito repubblicano, per Spadolini, rappresentava "un filo che non si esaurisce nella storia, pur secolare e gloriosa, del partito di Mazzini. Un partito vecchio, e sempre nuovo. Partito aperto alle classi che emergono, ai ceti emergenti. Partito senza chiusure settarie e senza residui teologici. Partito capace di ripensare, e di rivivere… il solo degno di rilanciare il patto sociale". Solo il Partito repubblicano, per Spadolini, riusciva proporre un originale modello di società, una sua visione dell’organizzazione sociale che non sia stata smentita dagli errori del populismo, del giustizialismo, del corporativismo: gli errori che hanno creato la devastazione di oggi. Forte di queste convinzioni rispose a Giorgio Amendola che considerava la cultura laica, dei Pannunzio e dei La Malfa, la cultura dei vinti, con la lucidità di chi sapeva leggere le trasformazioni in atto. Non replicò, puntualizzando la crisi di identità che attraversavano le forze vincitrici, comunisti, socialisti e democratici cristiani, che investiva le stesse basi ideologiche. Preferì replicare con un quesito: "Sarebbe stata mai possibile la revisione in atto, revisione profonda nel mondo comunista non meno che in quello socialista tradizionale, senza il continuo assillo della cultura laica e delle sue limitate proiezioni politiche?". Era arrivato tardi alla politica. Nato nel 1925 a Firenze, si laureò, a soli 22 anni, presso la Facoltà di Scienze politiche Cesare Alfieri di Firenze, dove terrà lezioni di storia contemporanea arricchendo il mondo della cultura con numerose pubblicazioni. Elegante e dotto, sempre ben documentato, ebbe una concezione nobile della politica. Non fu un uomo di cultura prestato alla politica, ma agiva in politica senza mai venire meno agli obblighi dell’uomo di cultura. Proprio queste caratteristiche gli consentirono, solo ad appena due anni dall’ingresso in Senato, di far avvicinare due statisti, Aldo Moro e Ugo La Malfa, distanti per carattere e temperamento, che diedero vita ad un governo che Aldo Moro definì la sua migliore esperienza. Spadolini, già capogruppo al Senato per i repubblicani, entrò a far parte del governo Moro-La Malfa, che vide la luce nel 1975; e a lui verrà affidato il compito di tenere a battesimo un nuovo ministero: il Ministero per i beni culturali e ambientali. Per i beni culturali e non dei beni culturali: così volle Spadolini, in quanto rifiutava ministeri della cultura che gli evocavano regimi totalitari e nel contempo voleva sottolineare il servizio reso alla collettività nazionale. Un ministero, istituito in soli 40 giorni, con scarse risorse ma che la vitalità e l’impegno di Spadolini seppero trasformare in un autentico presidio, associando la difesa del patrimonio ambientale e naturale alla salvaguardia del patrimonio artistico e culturale. Con lo stesso spirito assolverà il compito di Ministro della Pubblica Istruzione dal marzo all’agosto del 1979 nel governo a guida Andreotti. Una esperienza breve ma che il Nostro saprà gestire con il solito impegno e serietà. Pur consapevole della limitata durata del governo, per mancanza della fiducia delle Camere, si rivolse al mondo della scuola infondendo sicurezza con parole semplici: sono "uomo di scuola prima che uomo politico, mi propongo di essere un ministro discreto, ma non per questo assente". Spadolini aveva una ‘certa idea della scuola’ che coincideva con il pensiero repubblicano ‘di una certa idea dell’Italia’. Il 26 marzo del 1979 muore il leader storico del Partito Repubblicano Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini ne raccoglierà l’eredità assumendo, per volontà dei repubblicani, la Segreteria nazionale del Partito. Si porrà immediatamente il problema di come poter mediare fra la Dc e i laico-socialisti, come impostare i nuovi rapporti con il Psi di Craxi. Le ricorrenti crisi di governo spinsero i laici e i socialisti a ritenere che i governi a guida democristiana avevano esaurito la loro spinta propulsiva, a causa delle divisioni interne al partito, e si affermò il principio dell’alternanza di esponenti dei diversi partiti politici alla Presidenza del Consiglio. Il Presidente Sandro Pertini affidò l’incarico a Giovanni Spadolini, primo presidente laico della storia della Repubblica. Dal 10 giugno 1981 al 30 novembre 1982, Giovanni Spadolini guiderà il Governo italiano lasciando un indelebile segno per l’impegno e l’alto senso dello Stato dimostrato in una stagione critica sul versante economico e di violenza su quello sociale e politico. Affronta con determinazione la questione morale, la lotta al terrorismo e vince la battaglia sul fronte della corruzione rappresentata dalla loggia massonica deviata della P2. In quei mesi il fronte di fuoco delle Brigate Rosse uccise Roberto Peci, Giovanni Talarico e la scorta dell’assessore regionale campano Ciro Cirillo. La fermezza dimostrata da Spadolini e l’acutezza politica nel saper unire tutte le forze parlamentari contro la nuova barbarie, portarono alla liberazione di Cirillo e più tardi alla liberazione del generale americano Dozier. Riprendono, grazie a quest’ultima operazione, i buoni rapporti italo-americani. L’esperienza governativa di Spadolini si concluse con l’incontro con il presidente Reagan, il quale gli riconoscerà l’alta cultura e il profondo senso dello Stato. Sul fronte internazionale l’Italia ritroverà il prestigio che troppe crisi di governo avevano offuscato, e Spadolini si farà interprete della salvaguardia dei diritti umani nella crisi polacca e promotore di missioni di pace in Medio Oriente, prima nel Sinai e poi in Libano. La prima esperienza di governo a conduzione laica si concluderà con quella che Montanelli definì ‘una lite tra comari’, riferendosi alla dura e incivile polemica sorta tra due ministri del governo: Formica e Andreatta. Nonostante la volontà di Pertini di riassegnargli l’incarico, Spadolini comprese che, essendo venuto meno quello spirito collegiale nella conduzione politica, era giunta al tramonto una stagione che aveva prodotto i suoi migliori frutti. Nel primo governo presieduto da Bettino Craxi, Spadolini venne nominato Ministro della Difesa ed anche in questo ruolo seppe rinnovare una istituzione che richiedeva, per gli impegni che via via il Paese andava assumendo sullo scacchiere internazionale, di riportare ad unità la divisione che da anni caratterizzava i rapporti tra le tre diverse armi. Avviò una riforma che segnerà gli anni futuri comprendendo che era necessaria una visione interforze e che troverà nel Libro Bianco sulla Difesa la premessa della riforma. Dimostrò, al contempo, doti da statista nell’affrontare la crisi del sequestro della Achille Lauro e la vicenda dei missili a Sigonella. Nel 1987 venne eletto Presidente del Senato e anche in questo delicato ruolo istituzionale Spadolini seppe offrire un alto contributo alle tematiche della riforma costituzionale, prioritaria per ridisegnare un più equilibrato rapporto tra Parlamento e forze politiche. La carriera politica di Spadolini terminò pochi mesi prima della morte, con la mancata rielezione a Presidente del Senato, sconfitto per un solo voto da Carlo Scognamiglio. Dopo due intere legislature vissute da Presidente del Senato, Spadolini viene sopraffatto dalla malattia e muore il 4 agosto del 1994. La morte lo colse nel pieno della bufera politica che travolse i partiti, aprendo la strada a quella che giornalisticamente viene definita Seconda Repubblica. Indro Montanelli, sulla Voce, così lo ricordava: "…Era uno dei pochi pezzi pregiati e senza macchia che il defunto regime ci aveva lasciato, ma senza possibilità di assimilazione a quello nuovo. Cosa fossero lo Stato e le Istituzioni, lui lo sapeva, e mai avrebbe consentito che venissero toccati. A certi compromessi non sarebbe mai sceso. E per quanto flessibile al padrone non si sarebbe mai piegato". A noi repubblicani ha lasciato un grande vuoto. Ci mancano le lucide analisi sulla "Voce Repubblicana", che volle con determinazione in tutte le edicole del Paese a testimonianza di un Partito che sa pensare al futuro dell’Italia e delle giovani generazioni. L’Italia di Spadolini era un’Italia nella quale convivevano realtà molto diverse che la politica doveva armonizzare, anziché sclerotizzare. Questa armonizzazione, cui la politica doveva tendere secondo uno spirito solidaristico che è alla base del pensiero repubblicano, doveva, tuttavia, essere perseguita nel rispetto e nella salvaguardia di tutti i partiti. Spadolini riteneva l’Italia un Paese fragile e a perpetuo rischio di rottura. L’obiettivo della politica in un Paese come il nostro doveva pertanto essere quello di arginare il pericolo di fratture irrimediabili: per questo non amava il nascente bipolarismo e il futuro federale dello Stato. La forza delle idee doveva essere per Spadolini il nutrimento vitale della politica, affinché quest’ultima non si riducesse ad un mero esercizio del potere. Nell’Olimpo del repubblicanesimo Spadolini rappresenta, al pari di Mazzini e Ugo La Malfa, un precursore dei tempi, non sempre compreso e amato, che ha saputo indicare la strada che noi repubblicani seguiamo e arricchiamo attraverso il pensiero democratico-liberale per arrivare a quel ‘partito della democrazia’ da lui delineato. E’ un partito, sono parole di Spadolini "che si propone di essere un partito di coloro che sono scontenti dei partiti, della loro logica chiusa, della loro selezione insieme rigorosa e manichea. Vuole essere il partito della cultura, della cultura in quanto ragione, di quanti riflettono e si interrogano sul futuro dell’Italia, il partito dei giovani… delle donne…dei disoccupati… dei delusi. Occorre un partito capace di dare dignità politica a ciò che si muove e si agita nella società italiana. E che, pertanto, sappia rinunziare un poco, se necessario, alla stessa forma-partito. Per diventare più movimento: un grande movimento di idee e di cultura!". Per Spadolini il nucleo di questa nuova forza democratica era rappresentato dal Partito repubblicano, già movimento e portatore di una cultura democratica, in grado di offrire ancora oggi un ineguagliabile contributo alla trasformazione e alla crescita dell’Italia. |